Il dibattito su come procedere, dopo anni di colpevoli ritardi da parte dell’azienda e delle autorità locali, si tinge quindi ora di un forte grado di drammaticità: chiudere l’azienda, per fermare l’inquinamento aggiuntivo, con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro, oppure continuare a produrre a discapito della salute dei lavoratori dell’Ilva e degli abitanti dell’intero comune di Taranto?
In realtà la risposta dovrebbe essere nel mezzo. Infatti, chiudere completamente la produzione determinerebbe una perdita economica ingente non solo per Taranto, ma per l’intera nazione che dell’acciaio prodotto dall’Ilva si rifornisce in abbondanza. Inoltre, dopo la chiusura si porrebbe il problema della bonifica ambientale che sarebbe evidentemente ostacolata dall’assenza di risorse finanziarie necessarie.
La strada dovrebbe quindi essere quella di mettere in atto un serio e credibile piano di risanamento ambientale, con l’eventuale chiusura degli impianti oramai superati tecnologicamente e con la loro sostituzione con quelli nuovi e meno inquinanti. Molte risorse dovrebbero poi essere destinate alla contestuale bonifica dei terreni e delle acque.
In tutto ciò lo Stato dovrebbe imporre un importante partecipazione ai costi agli azionisti dell'Ilva, che in questi anni hanno ritardato gli investimenti volti a ridurre l'impatto ambientale, ma richiedere anche un supporto all’Unione Europea attingendo ai fondi previsti in tali situazioni.
Per Taranto potrebbe quindi aprirsi una nuova stagione in cui finalmente le politiche industriali diventino compatibili e allineate alle politiche ambientali.
Immagine tratta da www.informarexresistere.fr |
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